LA FOTOGRAFIA COME LIBERTA’
Per Nicola Sansone la fotografia non è stata una scelta professionale o l’identificazione di un mestiere da fare solo per necessità economica, è stata una ragione di vita, una necessità esistenziale alla ricerca di una propria identità. Alle spalle aveva studi, titoli e possibilità per intraprendere carriere più sicure, ma l’impegno sociale e la voglia di raccontare lo hanno portato là. Là, dove il suo spirito libero e critico poteva trovare il modo più congeniale per esprimersi e per confrontarsi.
Quando sono stato invitato a dare un titolo a questo libro, “la fotografia come libertà” mi è subito parso il più congeniale perchè è proprio il senso della libertà la molla che ha fatto scattare in Nicola Sansone la passione per la fotografia: la libertà del viaggio, la libertà di rispondere alla sola committenza per lui possibile, quella della sua onestà intellettuale e della sua voglia di essere testimone di eventi. I giornali, i responsabili delle immagini, i caporedazione e le censure della stampa vengono dopo, operano a posteriori e si assumono, al massimo, la responsabilità, storica, di avere o non avere fatto le scelte giuste.
Negli anni 50 e 60, Nicola Sansone e gli altri della “banda” della colonna romana della fotografia, contraltare di quella milanese con il covo nel celebrato Bar Jamaica, sono l’espressione di un modo di interpretare il giornalismo che, come recita Uliano Lucas, ”getta il proprio sguardo oltre i consueti modi di utilizzare la fotografia della stampa italiana del tempo e scopre il linguaggio delle immagini come strumento di denuncia e di libertà, di rottura e di indipendenza”.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di poter visionare per intero l’archivio di Nicola Sansone, archivio amorevolmente custodito nelle mani dei figli Lea e Matteo, e dopo averlo consultato mi pregio di annoverarmi tra i più profondi conoscitori di questo grande interprete. Anche senza averlo mai ne visto ne conosciuto. L’archivio è la vita intima di un fotografo, non è solo un insieme dei suoi lavori, una raccolta più o meno accurata di migliaia di negativi o una catalogazione cronologica di argomenti e di eventi: l’archivio è la costruzione di un’identità, di uno stile personale e di un’atteggiamento nei riguardi del linguaggio iconografico. Dall’archivio di un fotografo si percepisce il suo approccio con le persone, le sue curiosità, i suoi interessi e la sua voglia di trasmettere e di testimoniare. L’archivio è il cassetto dei segreti delle fotografie scartate, degli scatti ripetuti alla ricerca di quello perfetto, è il contenitore delle storie non raccontate, dei progetti iniziati, è il limbo di immagini in attesa di storicizzazione; è, in buona sostanza, la chiave di lettura di un percorso creativo.
Con questo libro, che vuole essere un omaggio a un indiscusso protagonista della fotografia italiana del secondo 900, mi sono addossato l’impegnativo compito di fornire la “mia” chiave di lettura del lavoro di Nicola Sansone e l’ho fatto guardando e riguardando tutti suoi scatti, non solo quelli pubblicate su Vie Nuove, sul Il Mondo di Pannunzio e l’Espresso, o quelle scattate su specifica committenza; l’ho fatto lasciandomi trascinare dall’emozione, con visioni trasversali e non necessariamente filologiche, liberandomi dal razionale per seguire quelli che mi parevano i suoi entusiasmi. E penso di aver recepito il suo messaggio. Quantomeno mi piace crederlo.
Renato Corsini